La settimana prossima a Malmo, in Svezia, si svolgerà la nuova edizione dell’Eurovision Song Contest, la competizione musicale internazionale che vede sfidarsi principalmente gli Stati europei. Per l’Italia parteciperà Angelina Mango, vincitrice del Festival di Sanremo, ma i riflettori sono molto più orientati sull’artista israeliana Eden Golan. Se già negli anni scorsi la partecipazione di Israele veniva considerata una sorta di white washing rispetto all’occupazione in Palestina, con la guerra in corso a Gaza quest’anno il conflitto israelo-palestinese è un tema estremamente sensibile.

Il conflitto tra Israele e Palestina all’Eurovision Song Contest

La questione, come spiega da Malmo il giornalista Eddy Anselmi, può essere letta su due binari diversi: la questione degli Stati e la questione delle canzoni.
Nel primo caso il regolamento di Eurovision ha da tempo cercato di impedire che il palcoscenico del contest venisse trasformato in un’occasione di propaganda nazionalistica. «È una competizione tra televisioni, non tra governi», osserva Anselmi. Questo spiegherebbe anche la differenza di trattamento tra Russia e Israele. Mentre nel primo caso la tv di Stato si è mostrata spesso un megafono del proprio governo, quella israeliana, in passato, ha rivendicato spesso la propria indipendenza, risultando quasi come una voce di opposizione.

Un’argomentazione che non sembra reggere molto nella situazione attuale e a dimostrarlo è anche il caso della doppia bocciatura della canzone israeliana in concorso. La prima versione del brano si intitolava “October rain” ed era un esplicito riferimento agli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Un testo propagandistico che è stato bocciato dagli organizzatori, così come è stata bocciata una seconda versione, che parlava dei giovani israeliani uccisi al rave, sempre il 7 ottobre.
«A quel punto Israele si era impuntato e aveva minacciato di non partecipare alla gara – ricorda Anselmi – ma è stato il presidente israeliano stesso a sostenere che si trattasse di una questione di legittimità stessa dello Stato di Israele». Si è così arrivati alla terza versione del brano israeliano, intitolato “Hurricane”.

In realtà è difficile pensare che la politica non faccia irruzione in un contest tra Stati e bandiere ed è per questo il giornalista osserva che le canzoni politiche, in realtà, vengono accettate quando si parla di pace e inclusione.
A proposito di bandiere, oggi il quotidiano svedese Goteborgs Posten informa che non saranno ammesse bandiere palestinesi all’interno della Malmo Arena dove si svolgerà il contest. «In realtà il regolamento esiste da anni – osserva il giornalista – e prevede che a essere ammesse siano solo le bandiere degli Stati partecipanti e quella arcobaleno. Anche la bandiera del Giappone non sarebbe ammessa e nemmeno quella sarda dei quattro mori».

La tensione del conflitto tra Israele e Palestina, però, continua a lambire la competizione musicale. La scorsa notte nella cittadina svedese che ospita le fasi finali della gara sono comparsi manifesti che mettono in relazione l’Eurovision e il genocidio in corso e durante l’esibizione dell’artista israeliana sono previste manifestazioni di protesta.
«Un’atmosfera molto diversa da quella del 2009, quando l’israeliana Noa e la palestinese Mira Awad cantarono insieme “There must be another way” e nel party successivo vennero sventolate insieme la bandiera israeliana e quella palestinese».

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